Immaginiamo un ragazzo di 23 anni nato e cresciuto in un villaggio del Gambia: dopo aver frequentato la scuola per tre, quattro anni, ha iniziato ad aiutare lo zio a tingere tessuti e il fratello maggiore a riparare motori; poi è partito, ha attraversato il Senegal, il Mali, il Niger e il Ciad, fermandosi ogni volta che finiva i soldi e lavorando per poter poi ripartire. Dopo uno o due anni in viaggio è arrivato in Libia, dove in una situazione di semi schiavitù lo portavano a lavorare ogni giorno in posti diversi con obiettivi diversi, fino a quando è riuscito a imbarcarsi e ad arrivare in Italia. Qui ha ricominciato a studiare e ha preso la terza media. Come definire la sua formazione? Quali sono le sue competenze?
Oppure immaginiamo una ragazza boliviana che ha iniziato l’università nel suo Paese, facoltà di Pedagogia, mentre dava una mano in un ufficio; poi ha smesso di studiare, ha viaggiato per un paio di anni al seguito del compagno ed è arrivata in Italia con lui e una figlia. Qui ha fatto la cameriera, è arrivata la pandemia e tutto si è fermato. Di nuovo: come definire la sua figura professionale? Quali sono le sue abilità? È una segretaria, una cameriera o forse sarebbe una bravissima maestra d’asilo?
Una sfida speciale
È difficile per tutti capire quali sono le proprie competenze, quelle professionali ma anche quelle relazionali che si sviluppano con le esperienze di vita, non solo a scuola o sul lavoro.
Per ragazze e ragazzi con storie così complesse, che vengono da culture e abitudini diverse dalle nostre, è ancora più difficile fare mente locale sulle proprie capacità, riuscire a riconoscerle, a definirle e poi addirittura a dirle. È quasi impossibile, se non sono guidati da qualcuno che sappia dove dirigere la loro attenzione.
Questo è proprio il compito delle persone che si occupano di fare il bilancio delle competenze – supportate dal lavoro dei tutor e delle coach del progetto Mi Trovo Un Lavoro: aiutare a mettere a fuoco le proprie qualità da spendere in ambito professionale.
Una volontaria e tre volontari
Nel progetto, abbiamo una volontaria e tre volontari che si occupano di questa parte del percorso così delicata e importante: Silvia, Luciano, Marcello e Franco. Sono tutti stati formati per questo compito da una professionista specializzata, perché anche chi aveva già competenze specifiche non si era mai confrontato con il complesso mondo dei migranti. Valorizzare – al fine della ricerca di un lavoro – esperienze anche ‘opache’ o dolorose non è semplice, ma è proprio lì che va cercata la qualità specifica delle persone scelte per partecipare al progetto. Per esempio: aver superato prove difficili ed essersela cavata adattandosi a lavorare in qualsiasi situazione sono indici di estrema flessibilità e motivazione, caratteristiche molto importanti nel mercato del lavoro oggi.
“Spero di averli aiutati ad avere consapevolezza delle loro potenzialità”, dice Luciano.
E siccome la relazione non funziona mai a senso unico, quello che torna indietro a Silvia, Franco, Luciano, Marcello è davvero prezioso. “I due ragazzi e la ragazza a cui ho fatto il bilancio delle competenze mi hanno accompagnata in un viaggio attraverso la loro storia e la loro realtà, spesso faticose e complesse. Viaggiare è il modo migliore per conoscere. E conoscere significa non temere”, dice Silvia.
L’unione che dà coraggio
Anche questo è il punto: in un periodo in cui le fragilità sono aumentate per tanti e in modo trasversale, ci sembra ancora più importante non dividersi in gruppi di fragilità contrapposte, ma avvicinarsi e conoscersi: in questo modo si combattono le paure e si può agire con più fiducia e coraggio. “Partecipare a questo progetto mi ha fatto incontrare persone che condividono la mia visione di mondo e che lavorano per trasformarla in realtà”, ha aggiunto Silvia.
Speriamo di riuscirci.