“C’era un albero, una volta, da solo in mezzo ad un cortile. C’era un orto, una volta, in mezzo a quel cortile. E c’era anche un centro d’accoglienza, una volta, tutto intorno, in via Corelli numero 28“. Inizia così una lettera aperta che sta girando sui social firmata da Angela Marchisio, presidente di NoWalls e una delle responsabili della scuola d’Italiano per migranti che lavorava all’interno di via Corelli, quando era ancora un centro per richiedenti asilo.
Da due giorni la struttura è stata riaperta dopo una lunga chiusura che l’ha trasformata in un Cpr, centro di permanenza e rimpatrio degli stranieri irregolari. “Non voglio contestare la decisione del governo” di riaprire il centro – dice il sindaco Beppe Sala, “e mi voglio fidare della gestione del prefetto, però qualcosa da puntualizzare c’è: innanzitutto Milano è sempre stata molto attiva con i rimpatri”. E aggiunge: “Secondo aspetto è che una volta che è aperto il centro deve funzionare in un certo modo: è necessario che le tutele ci siano”. Infine sui tempi: “La regola dice che la permanenza” nei centri “dev’essere di massimo 90 giorni: sono troppi oggettivamente, se è un centro per il rimpatrio io non credo che si possa andare oltre i 30 giorni”.
Alla vigilia del flash mob convocato per domani (oggi, ndr) alle 12 davanti a Palazzo Marino con l’adesione di molti esponenti politici del centro sinistra milanese il tema della riapertura di via Corelli fa discutere. Marchisio racconta come funzionava in passato e scrive nella lettera: “Là dentro tutti aspettavano i documenti per realizzare la Vita. – Insieme a loro c’era un gruppo di volontari che piegava vestiti, accompagnava dal dottore, ascoltava storie, stringeva mani, organizzava partite di calcio. E la scuola, soprattutto la scuola di italiano. E un orto: un orto pieno di Vita. Un mondo pieno di Vita, c’era una volta là dentro. Oggi quel centro diventa un carcere. Niente più scuola, niente orto, niente sogni, niente documenti, nessuna Vita”, scrive la volontaria che ha lavorato assieme ad altre decine di persone dentro a Corelli alla scuola d’Italiano sostenuta anche dal Comune di Milano.
“Oggi in quel luogo che in tanti abbiamo sentito come casa ci saranno paura e rabbia e ingiustizia. C’è paura dove qualcuno soffre. Non c’è sicurezza dove non si sostengono progetti, non si collabora, non si include il legittimo desiderio di una condizione migliore. Non c’è giustizia dove si rinchiudono vite che cercavano di esser realizzate. Dall’amarezza che mi stringe il cuore ripeto dentro me decine di nomi: Ali, Mohamed, Cristine, Justin, Giboty, Shabir, Samba, Seku. Nomi che sono vite preziose. Benedico ogni nome, ogni volto, ogni storia. Ovunque siate ora, che sia possibile per voi un riscatto, che sia possibile per noi un perdono. Benedico la Vita. Sogno che voi siate felici e che noi si sia capaci di continuare a offrire una spalla, un sostegno, un aiuto. Nulla può consolare la disperazione di chi verrà rimpatriato. Tutto questo è un enorme fallimento della civiltà, dell’essere capaci di disegnare un mondo giusto”.
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