di Elisabetta Andreis
Ufficialmente non ne arrivano più, o quasi. Eppure la loro presenza è visibile, e in crescita. Centinaia di migranti riversati in strada, «fantasmi» arrivati anche da altre città, stranieri regolari – titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari, con protezione o richiesta di asilo – ma con il decreto sicurezza senza più titolo per restare nei Cas (Centri di accoglienza straordinaria) e negli Sprar che a ottobre sono diventati Siproimi e hanno stretto le maglie dell’accoglienza. Migranti che stanno lì, a gruppi, davanti alla Stazione Centrale. Riuniti in accampamenti che non si vedevano da tempo, o fuori dai supermarket a chiedere monete. Trecento, stima Palazzo Marino. «Credo siano almeno il doppio», dice Alberto Sinigallia di Fondazione Arca.
Le immagini riportano al luglio 2017, momento di picco delle presenze. I numeri non sono neanche lontanamente paragonabili eppure le persone in strada crescono anche se gli sbarchi continuano a calare, anche adesso, con la Libia in guerra, e mentre il ministero si oppone agli sbarchi dalle navi delle Ong. A Milano le presenze nei centri – rispetto alle 4.650 del luglio 2017 – sono più che dimezzate (1980), sottolinea la Prefettura. Da gennaio, solo 25 nuovi arrivi registrati in città.
È l’effetto distorsivo del decreto? «Va ben distinto da una certa narrazione degli sbarchi come emergenza, che non esiste – sottolinea Claudia Martinez, responsabile del Centro aiuto attrezzato in fondo a via Sammartini, gestito dalla cooperativa Spazio aperto servizi -. Il decreto ha fatto saltare il modello di accoglienza che in particolare a Milano funzionava e funzionerebbe ancora. Ogni giorno si presentano da noi quattro, cinque migranti che non sono più collocabili». Eppure il Comune fa l’impossibile per affrontare la situazione. Di più non si potrebbe proprio fare, anche a livello organizzativo, spiegano dai Cas.
Ci sono i Centri comunali che progressivamente hanno chiuso: «Il 30 giugno è scaduta la convenzione e Palazzo Marino non l’ha rinnovata. Aveva chiesto di poter puntare sull’accoglienza di secondo livello aumentando da 422 a mille i posti nel sistema Sprar, ma alla domanda il ministero non ha mai risposto – raccontano dagli uffici -. Molte persone sono comunque ancora dentro quegli stessi Cas, ospitate senza alcun rimborso, soprattutto se fragili o con minori, proprio per non farle andare in strada». Poi ci sono i Centri della prefettura nazionale: «Saturi, non possono accogliere nuove persone». Lì c’è anche la questione dei bandi cui non hanno partecipato le cooperative con maggiore esperienza: «Avendo ridotto le risorse (20 euro a migrante contro le precedenti 35), le condizioni non permettono più di avviare un percorso di accoglienza adeguata, con servizi di orientamento al territorio, assistenza legale e di sostegno alle categorie vulnerabili, che sono moltissime fra i richiedenti asilo, vittime di tortura o di violenza sia nel Paese di origine sia nei Paesi in transito», spiega Silvia Bartellini, presidente di Passepartout, una delle coop che a quelle condizioni si è tirata indietro. «Il problema può solo peggiorare, va gestito», conferma Sinigallia di Fondazione Arca.
«Il decreto sicurezza ha portato centinaia di persone con protezione umanitaria al di fuori del circuito dell’accoglienza e chiuso gli Sprar ai richiedenti asilo, lo vediamo anche tra i ragazzi che seguiamo. Al contempo sono stati azzerati i fondi per i corsi di italiano ed educazione civica. Risultato: abbiamo più immigrati fuori dai centri che vivono da irregolari», riflette Angela Marchisio, presidente dell’associazione NoWalls.it, tra le più attive nell’organizzare lezioni di italiano per i migranti.
Sconsolata la presidente del Naga, Sabina Alasia: «Abbiamo un osservatorio sull’accoglienza, andiamo in giro per gli insediamenti informali. E aggiungo: per strada ci sono anche molti Dublinati di ritorno, che prima avevano diritto ad essere accolti negli Sprar. Oggi neanche quei posti per loro ci sono più». Sul fronte dei minori stranieri non accompagnati, invece, il quartier generale spostato in via Scaldasole è ormai avviato. Da qualche settimana ha aperto poi in via Zendrini, a Primaticcio, il primo «Welcome center» in Italia con tutti i servizi a loro dedicati e 12 letti di emergenza, aperto sette giorni su sette e anche di notte.
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